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Un grande uomo: Adriano Olivetti

Adriano Olivetti tra i suoi operai. «Nelle sue fabbriche si suonavano persino concerti. C’erano biblioteche, aree dedicate all’arte, altre per promuovere dibattiti. Tutto senza divisioni interne: operai e ingegneri assieme. E tutti con enormi benefici garantiti dall’azienda stessa. Tra cui asili e case costruite ad hoc per i dipendenti, salari nettamente più alti della media, convenzioni …

Da Emanuele Upini – scrittore

Un grande uomo: Adriano Olivetti (1901 – 1960)

«Nelle sue fabbriche si suonavano persino concerti. C’erano biblioteche, aree dedicate all’arte, altre per promuovere dibattiti. Tutto senza divisioni interne: operai e ingegneri assieme. E tutti con enormi benefici garantiti dall’azienda stessa. Tra cui asili e case costruite ad hoc per i dipendenti, salari nettamente più alti della media, convenzioni.

Persino sul congedo di maternità l’Olivetti fu pioniera: fu la prima grande azienda a garantirlo per 9 mesi e mezzo con l’80% di retribuzione.

Tutto questo avvenne per volontà di Adriano Olivetti. Uomo di grandi doti intellettuali e capacità manageriali, ma anche dotato di un grande lato umano. Un imprenditore diverso che vedeva l’azienda come una comunità. Diceva infatti che “la fabbrica non può guardare solo all’indice dei profitti, ma deve distribuire ricchezza, cultura, servizi, democrazia”.

E così fu per tutto il tempo in cui Adriano Olivetti fu alla guida.

Si spense a causa di un’ischemia celebrale il 27 febbraio, dopo anni in cui fu pioniere di un nuovo modo di fare impresa. Più giusto, equo, solidale.

Ricordandone la memoria, portiamolo a esempio. Che se in tanti facessero come faceva lui, tante cose sarebbero ben diverse».

(Leonardo Cecchi)

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1° parte

In questa anteprima, una brevissima presentazione degli argomenti del podcast ispirato dalla lettura de “Il caso Olivetti” di Maryle Secrest, pubblicato da Rizzoli (2020) Dal risvolto del libro: Quella dell’Olivetti è la storia di un’eccellenza italiana. Nata a inizio Novecento dal genio irrequieto e anticonformista di Camillo, l’azienda è cresciuta all’insegna dell’innovazione, della cura al design e dell’attenzione alle esigenze dei dipendenti. L’impegno umano e professionale del fondatore e di suo figlio Adriano, decisi a coniugare progresso tecnologico e ideale socialista, non si è arrestato nemmeno nel Ventennio fascista; anzi, negli anni seguenti l’azienda ha sviluppato prodotti così belli e funzionali – la Lexikon 80, la Divisumma 24, la Lettera 22 – da essere inseriti nella collezione del MoMA di New York ed entrare nell’immaginario comune quali perfette incarnazioni del made in Italy. Portata ai vertici del settore proprio da Adriano, anche grazie al contributo di suo figlio Roberto e di ingegneri talentuosi come Mario Tchou, la Olivetti è arrivata a far concorrenza ai colossi americani dell’elettronica sviluppando il primo modello di desktop computer: il Programma 101, adottato persino dalla NASA. Poi, il declino. La morte di Adriano nel 1960, quella di Tchou nel 1961 e la chiusura dell’avanguardistico laboratorio di elettronica hanno sempre alimentato sospetti. Ma che cosa accadde davvero il 27 febbraio 1960 sul treno diretto in Svizzera, e l’anno successivo sul cavalcavia della Milano-Torino che conduceva al casello di Santhià? Attraverso interviste a storici, familiari, ex dirigenti e dipendenti, affiancate da un’attenta analisi dei documenti disponibili, Meryle Secrest ci racconta la fine di un’era e aggiunge un tassello fondamentale alla nostra comprensione dei fatti: il ruolo giocato dagli Stati Uniti e in particolare dalla CIA, anche dietro pressione dell’IBM. In una ricostruzione di successi e tragedie, intrighi internazionali e beghe interne, l’autrice ci mette di fronte a una realtà: nel pieno della Guerra Fredda il progressista Olivetti era considerato una minaccia, e l’ascesa della sua azienda andava fermata con ogni mezzo.

2° parte

Adriano Olivetti tra i suoi operai.

Autore:

Viaggio tra suoni, immagini e parole che trasmettono il senso della vita e degli esseri umani.

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